Fabrizio De André (L’Indiano): tra la Gallura e l’America

È il 1981 e Fabrizio De André è sopravvissuto all’esperienza traumatica del rapimento, avvenuto nel 1979 e vissuto insieme alla moglie Dori Ghezzi.

L’esperienza poteva segnare in negativo i rapporti di Fabrizio con tutto ciò che lo circondava, dalla famiglia al suo rapporto con la Sardegna; ma non fu così: l’avvenimento lo portò a rivalutare i rapporti con alcuni membri della sua famiglia, rafforzò l’unione con Dori e fece nascere in lui un legame ancora più intenso, spiritualmente, con la Sardegna.

Così esce Fabrizio De André: L’Indiano, un album che vive sul parallelismo tra gli abitanti della Gallura e i nativi americani; e le prime tre canzoni suggeriscono questa intenzione di voler confrontare i due popoli.

Quello che non ho inizia, così come lo è anche per Fiume Sand Creek, con i versi dei cacciatori sardi durante la caccia al cinghiale e in sottofondo si sentono colpi di fucile e l’abbaiare dei cani, il tutto registrato in presa diretta (Mark Harris, il produttore dell’album, ammise di aver temuto per la sua incolumità durante la registrazione della caccia al cinghiale). Lo scopo della canzone è quello di mettere in evidenza le differenze tra i popoli autoctoni e i cosiddetti “oppressori”, sottolineando ciò che i secondi non hanno a differenza dei primi (“Quello che non ho è questa prateria, per correre più forte della malinconia”, giusto per fare un esempio dell’argomento centrale del testo), quasi per voler mettere in mostra che la felicità non si basa sui beni materiali, ma su quanto un uomo possa sentirsi a suo agio e vivere in contatto diretto con la natura.

Ed è proprio la natura ciò che viene raccontata in Canto del servo pastore: un uomo passa tutta la sua vita vivendo da indigeno nel panorama gallurese (dai monti al mare) e tesse una lode alla sua vita, completamente dedicata alla percezione di sé stesso nella natura, facendo intuire che ormai ha un’ampia conoscenza di ciò che lo circonda, ma soffrendo a tempo stesso per la mancanza d’amore in cui è costretto a vivere per via della sua scelta di restare in pieno contatto con la natura.

La sofferenza e il dolore vengono ampliate in Fiume Sand Creek, in questa canzone viene raccontato uno degli episodi più sanguinari della storia degli USA, ovvero quando il colonnello John Chivington decise di sterminare un villaggio di Cheyenne e Arapaho, composto in maggioranza da anziani, donne e bambini (gli uomini non c’erano, “I nostri guerrieri troppo lontani, sulla pista del bisonte”), il 29 novembre 1864.

In questa canzone vengono denunciati l’atto vile e codardo di Chivington, che attaccò quando non erano presenti ostilità tra nativi e “neo-americani”, e l’incoerenza storica di chi ha dimenticato questo massacro, fatto solo per colmare un inutile sete di sangue e di terra (i terreni erano importanti per il governo e quelli vicino al fiume avevano una valenza superiore rispetto a quelli del deserto del Nevada, per fare un esempio).

A questo scenario di morte e distruzione di un popolo, si aggrega, nel disco, una preghiera, messa dopo quasi come per chiedere scusa e invocare il perdono dei nativi morti nel massacro; anche se Ave Maria ha un altro significato ed è un canto religioso tratto dalla tradizione sarda (Deus ti salvet Maria di Bonaventura Licheri). Ma la “casualità” della disposizione dei brani nel disco, fa pensare che Faber abbia voluto pregare per ricordare le persone uccise dalla disumanità al fiume Sand Creek.

Nella seconda parte dell’album si assiste all’introspezione di Fabrizio nella vicenda del rapimento e nel rapporto con la Sardegna, Hotel Supramonte racchiude entrambi gli elementi. La narrazione si sviluppa sul legame spirituale con Dori Ghezzi (la moglie), il farsi forza a vicenda e avere fiducia l’uno dell’altro in una situazione così difficile, e con la natura; anzi, la donna citata nella canzone (Dori, anche se Fabrizio non lo ha mai voluto dire) è un tutt’uno con l’ambiente che la circonda, vive con la fragilità delle condizioni climatiche dovute al cambio di stagione (rapiti ad agosto e liberati in dicembre) e con la forza con cui essa attua il cambiamento, riprendendo così il fatto del farsi forza a vicenda durante la drammatica esperienza del rapimento.

Ed è proprio dedicata ai rapitori, ed ai loro racconti, la canzone che segue, ovvero Franziska. I rapitori vengono descritti fisicamente, psicologicamente e anche dal punto di vista dell’abbigliamento; ma il punto centrale del testo è la narrazione del rapporto tra uno dei banditi (“Marinaio di foresta”) e la sua amata, dove lei soffre la lontananza del suo uomo, ma ne sente comunque addosso la gelosia, e viene affrontata la solitudine che entrambi subiscono per la scelta di vita attuata dall’uomo soggetto della canzone, in sintesi, la sofferenza per un amore difficile da vivere.

Ma, dopo aver raccontato le fasi del rapimento, è giusto parlare anche della libertà: Se ti tagliassero a pezzetti è un inno alla libertà, ma non intesa quella dopo i mesi di prigionia tra i monti della Gallura, in questo caso si parla della ricerca e della realizzazione dell’individuo in quanto persona libera, che spesso va a scontrarsi con quella di altri individui che, a volte, sembrano volerne impedire la completa realizzazione; è una riflessione su quanto la propria e personale libertà sia difficile da ottenere, non per mancanza di volontà propria, ma perché potrebbe esserci qualcuno pronto a minarla.

L’album, che inizia con un blues/electric blues, si chiude con il raggae e dei piccoli richiami allo ska (musica caraibica, usata prevalentemente in Franziska), in cui Faber fantastica sul paradiso dei nativi americani, i Verdi pascoli. Il tempo in levare della canzone la contraddistingue dalle altre presenti nell’album e viene descritta armoniosamente la vita degli indiani dopo la loro morte, chiari sono i riferimenti alla strage del Sand Creek, in cui finalmente padri e figli possono giocare insieme e restare nella natura in cui vivevano in vita, ora distrutta dalle città e dalla modernità del XX secolo.L’Indiano può essere considerato come uno dei migliori album della discografia di De André, perché non solo ti mette davanti alla storia dell’uomo (evoluzione, nascita delle città, distruzione di alcuni elementi naturali e della vita di alcune persone) e alle vicende personali dell’artista, ma ti permette di “assaggiare” l’entroterra della Sardegna e notare come due popoli, nativi e sardi, così lontani, possano avere molte cose in comune (dalla cultura della caccia allo stile di vita immerso completamente nel naturalismo).

(di Davide Bonamici)