Vincent, la forza dei girasoli

Giallo. Infinite pennellate di giallo. Dense. Vive. Sfumature e crepe. Tratti veloci, istintivi. Il vaso che si riempie. Lo sfondo non ha importanza, divide soltanto il mondo in due. Crea uno spazio intimo dove confrontarsi con quei petali, gli steli, foglie che puntano al cielo e alla terra in modo disordinato. E più li si guarda, più li si sente, più si ha voglia di toccarli, di sentire lo spessore sotto la pelle, di sentire quei fiori, la vita. Capiremmo tanto di Vincent, così come si firma sul vaso che raccoglie il suo essere. Sentiremmo la sua anima inquieta, il desiderio di raccontare attraverso i suoi quadri storie, natura, il mondo che lo circonda, il suo mondo. Il ‘Vaso con i girasoli’ è un dipinto del 1888, conservato ora a Monaco presso la Neue Pinakothek. Uno dei tanti girasoli, rappresentati in oltre dieci versioni. Una natura morta che con Van Gogh acquista vita, esce dalla tela e arriva a
toccare le corde della nostra anima. Sentiamo la poesia raggiungerci, come le stampe giapponesi a lui care, fonte sicura d’ispirazione, gli Ukiyo-e l’avevano sicuramente rapito. Eppure lui non è paziente, gentile, rispettoso della tela. Vincent sente il bisogno di farla esplodere, di graffiare, di raggiungere gli anfratti della nostra mente scavando la carne nuda, arrivando a far pompare il sangue nelle arterie a domandarsi chi siamo e se veramente abbiamo mai toccato un girasole. La produzione di Van Gogh in quegli anni era stata ideata per la decorazione de ‘lo studio del sud’, un atelier di lavoro in comune con Gauguin. Questi dipinti dovevano portare alla creazione di una nuova arte, visionaria, potente. Inutile dire che la vita di Vincent fu sicuramente potente, ma caratterizzata da crudeltà umana, rifiuti e quell’unico affetto, quello del fratello Théo, che credette in lui e lo supportò nei suoi anni di vita. Dobbiamo alle loro lettere, intime e vere, la vita di Vincent, le sue sofferenze, i suoi pensieri, i suoi passi in quel mondo che gli donò la vita su tela e l’eternità solo da morto.

(Marco Emilio Boga)