Un momento d’estasi, la Danae di Klimt

Una donna, dai folti capelli arancioni, raccolta in se stessa. Gli occhi chiusi, la bocca dischiusa, nuda col seno in bella vista. Una mano tremante, l’altra sul ventre. Drappi morbidi, trasparenti, verdi e viola, le accarezzano la pelle. Una pioggia dorata scende copiosa insinuandosi tra le morbide cosce. Un momento d’intimità e d’estasi. Klimt rappresenta il tutto nel modo più naturale, istintivo, raffigura un mito, quello di Danae e Zeus, come nessuno aveva fatto prima.

Sì, perché la donna protagonista del dipinto è Danae, rinchiusa dal padre Acrisio, re di Argo, in una cella di bronzo. Il sovrano, spaventato dalla profezia dell’oracolo di Delfi, secondo cui il figlio di sua figlia lo avrebbe ucciso, decise di confinarla lì. Nonostante ciò, Zeus va da lei sotto forma di pioggia dorata fecondandola. Klimt rappresenta la scena nel modo più sincero e diretto possibile. Non ci sono fraintendimenti, non c’è distacco. Danae è sensuale, rossa sulle guance, in un momento d’abbandono totale. Zeus è lì, sotto forma di pioggia dorata, che passa in mezzo alle cosce. Il mito si è fatto opera.

Chi ha in mente altri dipinti, come quello di Tiziano o del Correggio, si ricorderà una donna fredda, distaccata, Zeus lontano. Qui tutto si avvicina. Noi siamo catapultati lì, vicino a Danae, possiamo quasi sentire il calore della sua pelle, il suo profumo. Possiamo sentire i suoi pensieri. I pensieri di una giovane donna rinchiusa, abbandonata. Una donna che è destinata a dare alla luce un figlio, Perseo, perché così ha predetto l’oracolo, perché così funziona l’egoismo degli dei. Una donna che è destinata a morire. Eppure la cogliamo in un momento d’intimità e pace, di godimento, d’estasi sublime.

E, almeno per quei pochi attimi in cui fissiamo l’opera, l’invidiamo e vorremmo poter essere lì con lei, per assaporare un po’ di felicità e appagamento, estraniandoci dal mondo freddo, attaccato al dio denaro e alla sofferenza, che ci circonda.

(Marco Emilio Boga)