Fiamme, un incendio che brucia tra sfumature d’azzurro, di giallo, d’arancio, di rosso, di viola, di grigio. La luce del sole che cala, il fuoco del tramonto. Una nave maestosa, abbagliante. Il bianco, l’oro. Il fumo nero, denso di un vaporetto, anch’esso color carbone. Londra in lontananza. È la fine di un’epoca, l’inizio di una nuova. Il veliero è la Temeraire e sta andando a essere smantellata per sempre. Alza bandiera bianca davanti al progresso. È finita l’epoca delle grandi guerre navali con maestose barche trasportate dal vento. È giunto il carbone, il fumo, grandi pale che si aggrappano alla superficie, spingendo meccanicamente l’acqua, avanzando
inesorabili verso un mondo più veloce. Un mondo in cui non c’è più posto per la stasi, per la muta osservazione degli eventi. Non c’è più posto per la meditazione, per la ricerca di particolari. Solo progresso, progresso e progresso. E se non l’ho detto abbastanza volte lo ridico: progresso. Turner è lì, spettatore degli eventi, del cambiamento. Ne fa uno schizzo e poi lo trasporta su tela. Le sue pennellate dense, i colori lucenti, la classicità
intaccata da quel punto nero, che brucia il tempo, che avanza inarrestabile verso il cambiamento, distruggendo le speranze dei nostalgici del passato. Siamo nel 1839, verso la fine della rivoluzione industriale inglese. Joseph
Mallord William Turner coglie l’essenza di quanto sta accadendo, la fine di un’epoca, l’inizio di una nuova, il cambiamento della società, il cambiamento dell’arte che supera il modello classico, definito, che coglie le emozioni e le trasmette, che valorizza il paesaggio e i suoi attori. Se andate a Londra, anche nella giornata più bella e soleggiata, rifugiatevi tra le mura della National Gallery, un palazzo con pochi più anni del dipinto. Entrate nella stanza 34, senza aspettarvi nulla e sedetevi a guardare ‘The Fighting Temeraire”. Vi troverete persi in un mondo d’emozioni. Persi nel passato con l’occhio sempre lì verso il progresso. Con la voglia di combattere, di fermare il tempo e l’avanzata del rimorchiatore che la porta verso la fine. Per poi alzare lo sguardo, sconfitti, tornando inesorabilmente al presente.

(Marco Emilio Boga)