Munch e l’arte provocatoria dell’annullamento

Due bottiglie. Due bicchieri, uno dei quali con ancora un liquido torbido al suo interno. Un tavolo segnato dal tempo, pallido, li sorregge. La luce del mattino che macchia la parete, illumina la testiera del letto, il cuscino, la faccia e il petto di una donna. Il corpo quasi morto, un braccio abbandonato sulle lenzuola, l’altro soggetto alla forza di gravità che pende inerme verso terra. La camicetta aperta a mostrare le forme delicate, la pelle chiara. I capelli neri quasi liquefatti, come petrolio, che si riversano sul pavimento. La gonna che si inarca sotto la spinta di una gamba piegata. La stanza spoglia. Il letto sfatto. E l’occhio che non riesce a distogliere lo sguardo dal viso di quella donna che dorme. Il viso del giorno dopo. Non c’è sogno, né erotismo, solo l’oblio. L’oblio causato dall’alcol in primo piano.

Non sappiamo se il titolo dell’opera ‘Il giorno dopo’, dipinto da Munch tra il 1894 e il 1895, si riferisca all’effetto di un’ubriacatura serale oppure a una sorta di condanna al disfacimento e all’infelicità della passione amorosa, certo è che il dipinto raffigura una scena comune nella pittura settecentesca e ottocentesca, cioè quello della donna nel proprio letto. Niente nudo femminile, voluttuoso e ammiccante. Munch disprezza tutto questo. Disprezza gli ambienti eleganti, la tradizione iconografica.

A colpirci di questo, così come di tutti i quadri di Munch, è l’essere crudo e ruvido esattamente come la vita del proprio autore. Le persone dipinte sono come sono, non come dovrebbero sembrare. I suoi dipinti sono come sono, non come dovrebbero sembrare. Questa è la forza di un artista che ha costantemente diviso le opinioni tra favorevoli e contrarie, ma si sa, l’umano divide sempre, la realtà divide sempre, anche se, per fortuna, una volta fissata sulla tela, nel suo desiderio costante d’annullamento, è destinata a durare in eterno.

(Marco Emilio Boga)