È strano vedere in un dipinto luoghi in cui sei stato. Ti ritrovi a pensare a quei momenti. Senti il profumo di salsedine che pizzica le narici, il freddo della Normandia, il vento che ti scompiglia i capelli mentre lo sguardo tenta di acchiappare quel pallido sole che cala inesorabile verso le gelide acque. Senti il peso di quelle rocce, la scogliera a strapiombo sul mare, ormai in ombra, grigia. Vedi quell’antro, una porta verso il mare, verso il Canale della Manica. Vedi e senti le pennellate dense come quelle onde, che si distinguono appena da quelle del cielo. Specchio dell’anima alla costante ricerca di sé.
Potrebbe quasi essere un romanzo, invece è solo, si fa per dire, un dipinto: ‘Tramonto a Etretat’ del 1883. Uno dei tanti tramonti invernali a Etretat di Monet, pittore francese considerato uno dei fondatori dell’impressionismo. Ognuno intenso e carico di quella sua voglia di vedere il mondo, di sedersi per ore a osservare e dipingere guardando oltre.
Si sente tutta l’irrequietezza del pittore, il suo abbandonarsi rifugiandosi in quelle scogliere, già pensando al dopo, allo stabilirsi altrove, alla ricerca della natura, alla ricerca di se stesso, delle sue origini di uomo errante, di pittore indomito. Etretat, Bordighera, Belle-Île-en-Mer, Antibes, Oslo (che ai tempi si chiamava ancora Kristiania), Bjørnegård, Sandviken, Londra, Venezia. Poi dopo la morte della moglie Alice, nel 1911, e del figlio Jean, nel 1914, l’animo indomito di Monet si placa.
Qualcosa si è rotto e ormai la pace risiede solo in specchi d’acqua e ninfee. Risiede ormai solo nella sua casa a Giverny. Così ci troviamo a ricordare Monet, attraverso la natura, attraverso quei paesaggi così uguali e così vari allo stesso tempo, tra pace e tormento. Perché non c’è cosa più bella che trovare se stessi nella natura. Perché non c’è cosa più bella che trovare se stessi in un dipinto.
(Marco Emilio Boga)