“Generale”, lettera di una generazione disillusa

Generale è una canzone di Francesco De Gregori, tratta dall’album De Gregori del 1978 e il tema centrale di essa è la guerra raccontata nelle sue sfaccettature più intime, quelle in cui la condanna al conflitto è velata dalla narrazione di alcune persone che lo hanno vissuto e non solamente i soldati.

La canzone è strutturata in quattro strofe e l’argomento tra le prime due e le ultime due strofe cambia: se nella prima si parla di una madre che aspetta i figli andati a combattere, nella seconda si entra negli animi dei soldati poco prima che la guerra finisse, ma è nelle ultime due che vengono analizzati fattori come la nostalgia e il desiderio di tornare a casa e anche la disillusione di chi ha combattuto una guerra e perso amici, amori e parenti.

La prima strofa, come già detto, parla di una contadina madre di cinque figli, di cui lei però non sa più nulla, perché non si sa dove siano a combattere, con quale schieramento e soprattutto se siano ancora vivi o meno. Negli ultimi versi di questa prima strofa, si sente la preoccupazione di una madre che non sa nulla del destino dei propri figli e, come la musica suggerisce, malinconicamente si accinge a svolgere dei lavori nel suo campo, conscia del fatto che deve comunque continuare a sopravvivere nonostante le difficoltà emozionali che porta una guerra.

Nella seconda strofa viene data voce ai soldati che tornano a casa in congedo, coloro che purtroppo hanno subito “sconfitte” troppo gravi per continuare a combattere e che sono sopravvissuti alle ferite riportate, anche se il loro pensiero rimane comunque rivolto a quella guerra per cui hanno combattuto e per cui sono quasi morti.

La terza strofa è quella in cui appare il trionfo della nostalgia, quella che viene dopo che “il nemico è scappato, è vinto, è battuto”, perché finalmente si ripensa alla propria casa e al volerci tornare. Gli elementi del testo lo dicono chiaramente, si pensa a quei momenti di festa con la propria famiglia e a quando da bambini non si voleva andare a dormire perché la sete di imparare e la voglia di vivere le giornate con i propri cari, erano più forti del sonno.

L’ultima strofa racconta la disillusione di una generazione, quella partita per la guerra e distrutta da essa, perché quella guerra si è portata via volti amici e anche di sconosciuti, accomunati dal destino di una morte atroce e forse non giusta. E il soldato sul treno si chiede il senso di quelle cinque stelle, perché per averle sono valse la vita di altri uomini e il sacrificio di una o più generazioni, cadute in nome di più ideali e di cui rimangono i resti di un mondo da ricostruire.

E nell’ultima strofa emerge un significato della canzone, quello di una generazione distrutta dalla guerra e così intimorita da ciò che potrebbe essere il futuro, tanto da non sapersi “godere” il successo e la fine della guerra stessa, perché il dolore è troppo forte per pensare già sul treno di ricostruire.

E forse questa canzone è di estrema attualità, il Coronavirus sta a suo modo distruggendo più generazioni, quella dei nostri nonni, i soggetti più a rischio durante la pandemia, e quella dei ragazzi più giovani a livello sociale ed economico, perché in molti temono per il proprio futuro e sanno che parlare già adesso di ripartenza sia comunque molto difficile, perché si prospettano tempi difficili per le categorie più giovani, soprattutto ai livelli citati poco più sopra.

Non si sta combattendo una guerra, come nel caso del personaggio che si rivolge al generale della canzone, ma sono cresciute l’ansia per il proprio futuro e la paura di quanto possa essere lenta e ancora più difficile una ripartenza per un’intera generazione di ragazzi giovani, che ora rischiano di essere disillusi proprio come quei soldati per ciò che ne sarà del loro futuro.