Cirano: quando Guccini tuonò nuovamente contro l’ipocrisia

C’è chi sostiene che il Francesco Guccini degli anni ’90 e 2000 non sia lo stesso del trentennio precedente, perché secondo molti ha smarrito la sua forza compositiva e la componente narrativa che ha sempre arricchito notevolmente i suoi testi. Ma, a mio giudizio critico, è decisamente il contrario, il “Maestrone” della musica italiana è sì invecchiato, ma la sua forza compositiva e narrativa è maturata e non ha perso tono, come in molti hanno erroneamente sostenuto.

E, a proposito di tono e forza compositiva, Guccini nel ’96 riesce a dimostrare di essere ancora un grande cantautore e con Cirano, contenuta nell’album D’amore, di morte e di altre sciocchezze, decide non solo di concentrarsi sulla figura e sulla storia del più famoso dei Cadetti di Guascogna, ma anche di fare una critica molto forte ai meccanismi politici e socio-culturali vigenti all’epoca della canzone.

Dopo la breve strofa di introduzione, è aspra e forte la critica allo scenario musicale del fine anni ’90, dove fa intendere che molti musicisti, nuovi arrivi nelle classifiche o coloro della “vecchia guardia” che “si sono venduti”, si dedicano a questo lavoro solo per soldi e gloria e se ne fregano della passione che si deve avere per fare musica. Non ha peli sulla lingua, li bolla come poveri nello scrivere i testi e senza scorza, come a significare che lui la forza di comporre non l’ha mai persa.

La strofa successiva è una feroce critica ai nuovi politici che entrano in campo con l’avvento della Seconda Repubblica, buoni solo a mostrarsi in televisione e a fondare la propria campagna elettorale su qualunquismo e benaltrismo; e poi la critica arriva proprio alle televisioni, a quei talk show preimpostati per strizzare l’occhiolino da una parte e pronti a promuovere ogni becera forma di falsità usata in ambito politico. E anche qui si nota una certa non paura di non dire ciò che pensa, a lui non interessa piacere ed è pronto a combattere i furbi e i prepotenti.

Nella quarta strofa c’è un ritorno al parlare del Cirano personaggio storico, in questa viene tracciata una breve descrizione della vita sentimentale tormentata del Cadetto, dove si rammarica del fatto di aver perso così tante donne nella propria vita che ormai ha paura di dichiararsi a Rossana, donna con una personalità forte e difficile da conquistare.

Dopo questa breve parentesi, Guccini ritorna a criticare la società: questa volta tocca alla religione e a quegli atei non razionalisti, ma cinici e inclini a rifiutare un dialogo con chi vive religiosamente. Perché egli avverte che comunque la religione cattolica, coperta di scandali sulla pedofilia al suo interno e sulla pessima gestione dello IOR da parte del Cardinale Marcinkus, sia entrata in conflitto con gli ideali con cui Dio e Gesù fondarono il cristianesimo stesso. Quindi non è una critica al cristianesimo in senso totale, ma sul periodo che esso sta vivendo; e poi va contro quegli atei che, a differenza di una Margherita Hack aperta al confronto, rifiutano l’idea di parlare e confrontarsi con le persone che rappresentano il bene della religione. E qui riduce l’esistenza di queste persone all’essere “piccole” e quindi non in grado di poter dare lezioni agli altri, perché umanamente ci vogliono dei giganti per avere un confronto.

Nell’ultima strofa c’è un ritorno al Cirano personaggio storico e in cui egli si dichiara alla sua amata, Rossana, descrivendola come l’unica in grado di salvarlo dall’essere cattivo e rappresentandola come l’unico barlume di speranza e di fiducia che ha nell’umanità. E non riuscendo a parlare direttamente con lei, perché si considera un’ombra al cospetto di lei che è il Sole, le dichiara il suo amore con le parole delle poesie che compone e grida il proprio nome per legarlo sempre a quello di ella.

Cirano quindi non rappresenta solamente il raccontare la storia di un Cadetto di Guascogna innamorato e ispirato alla commedia teatrale in cinque atti di Edmond Rostand, ma anche lo strumento per criticare la società odierna all’uscita del brano e per pungere, o toccare, chi lo criticava di non essere più il Guccini dei tempi passati, ma ancora una volta il “Maestrone” ha avuto il modo di smentire e sbugiardare chi ingiustamente rivolgeva a lui certe infelici espressioni (mantenendosi più pacato, a livello reattivo, dei tempi de L’avvelenata).