Come sappiamo bene Fabrizio De André è un cantautore capace di descrivere paure, angosce e disagi dei più deboli. In un periodo come il 1968 caratterizzato da subbugli nostrani, ma anche dalla scena internazionale in cui la guerra in Vietnam catalizzava l’attenzione, è riuscito a farci entrare nei panni di un soldato qualunque con La guerra di Piero.
Quella che vi propongo è un’analisi del testo così da fare risaltare le parole dell’autore.
Il brano inizia dalla fine della storia, infatti sappiamo che Piero non ce la fatta ed è stato sepolto in una fossa comune, ciò lo si evince dal fatto non ci sono i consueti fiori che si mettono sulle tombe, come la rosa oppure il tulipano, ma del grano e dei papaveri rossi. A questo punto il racconto ci catapulta sulle gesta dei soldati che ammira un paesaggio totalmente stravolto: nel letto del fiume che una volta ospitava i lucci ora vi sono i corpi inerti dei soldati che la corrente si porta via.
Come se non bastasse, anche l’inverno piomba ad aumentare le difficoltà e la neve che insieme a tutte le atrocità commesse da ambi le parti, trasformano quell’appezzamento di terra in una landa desolata. Così interviene la voce narrante che lo esorta a fermarsi, ricordandogli che molti soldati sono stati chiamati alle armi hanno avuto come ricompensa solo la morte. Solo che neanche questo basta ad arrestare la missione di Piero che non ci pensa per niente di fermarsi, nel frattempo come un ballo ritmato dall’inverno si passa alla primavera, valicando il confine entra in un territorio ostile. In questo contesto il nostro soldato si trova solo e la fatica gli fa pensare ogni cosa, anche la sua anima, diventata ormai un orpello esterno. Continuando il suo cammino, avvista un uomo lontano che pur essendo nelle sue stesse condizioni emotiva, avendo la divisa di un altro colore si palesa come un nemico. Il pensiero è di sparargli ripetutamente all’istante finché il corpo, ormai senza vita, non cada a terra così che il sangue non fuoriesca.
La crudeltà aumenta ancora in quanto indica anche gli organi dove colpirlo: la testa oppure il cuore. Così facendo la fine sarebbe certa e immediata, lui si salverebbe vedendo lo sguardo di chi sta trapassando. Mentre ragiona sul da farsi viene notato dall’avversario che, al posto di farsi prendere dai sensi di colpa come Piero e preso dalla paura, gli spara. Così senza nemmeno una smorfia di dolore si schianta al suolo non avendo il tempo di riavvolgere la sua vita e chiedere perdono per i peccati commessi.
In punto di morte l’ultimo pensiero va alla sua amata Ninetta, esprimendo rammarico per la chiamata alle armi e il disappunto per essersi allontanato in primavera, stagione della rinascita. Una morte ingiusta poiché arrivata in giovane età, avrebbe potuto vedere un altro inverno. Il grano si fa spettatore di questo scempio e il freddo attanaglia il corpo di Piero. La sua vita è finita.
Si tratta di un brano lucido in grado di unire immagini cruente e delicate allo stesso tempo, un monito per ricordare che la essenzialità dell’esistenza che si cela dietro ad ogni uomo e quindi dietro ad ogni soldato.
(Antonio Corcillo)